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Where the bad folks go when they die.
They don't go to Heaven where the Angels fly.
Go to a Lake of Fire and fry.


Che fine avrebbe fatto lui? Lui, con tutto quello che aveva fatto? Con tutti gli errori commessi? Non ne aveva idea. Ricordava le sue dita, che tremavano. La lama che cadeva a terra, in un perforante suono metallico. La sua mano era scossa da spasmi, incontrollabile. Non era lui ad aver compiuto quel gesto. Il cuore tartassava il torace con i suoi battiti, che, lentamente, si affievolivano. Il labbro inferiore che tremava e le lacrime che solcavano il suo viso. Era difficile tirare via quella sostanza vischiosa dalle unghie… forse avrebbe dovuto rimanere lì per l’eternità, in ricordo della macchia che gravava su di lui, in ricordo dei sentimenti che aveva provato. Mentre l’adrenalina abbandonava le sue vene, il ragazzo aveva sentito le palpebre farsi più pesanti. Era crollato a terra, e aveva cinto con le braccia la vita del suo amante, sporca di sangue. Tutto il suo corpo era scosso da spasmi, da urla soffocate e ferite intangibili. O almeno per gli altri. “I’ll kiss your open scores” non lo avrebbe fatto. Lui le aveva create. Non poteva. Lui non voleva. Giaceva lì, immobile. Il suo cuore non batteva più, probabilmente. La chioma rossiccia di uno si mischiava con le ciocche bionde dell’altro. I capelli ricadevano sulle spalle. Dio, quante volte… quante volte quei suoi occhi ora spenti lo avevano guardato. Corrucciati, stupiti, divertiti. Spesso, anche sotto l’effetto di droghe. Quante volte le sue labbra sottili si erano posate su di lui, avevano sorriso, avevano parlato. Quante volte la sua voce calda e roca aveva cantato per lui, gli aveva sussurrato delle parole che solo lui sapeva dire. Quante volte i suoi capelli biondi gli avevano solleticato le guance. Quante volte quella fossetta sul mento si era fatta più o meno pronunciata, a seconda delle emozioni che attraversavano quel corpo divino.

I knew a lady who came from Duluth,
Bitten by a dog with a rabid tooth,
She went to her grave just a little too soon,
flew away howling on the yellow moon


Lui era il cane, e il coltello il dente rabbioso. Lui lo aveva ucciso. Lui lo aveva mandato “nella fossa”. Non poteva averlo fatto. I minuti precedenti passavano nella sua mente, e lui era sempre più terrorizzato. Non era stato lui a compiere quei gesti, e più si rivedeva più impazziva, di dolore, di vergogna, d’amore. Amore mascherato dall’odio, odio mascherato dall’amore. Non sapeva più quale delle due fosse vera. Ma ciò che provava vedendo l’uomo che giaceva in una pozza di sangue accanto a lui, era indescrivibile. Sentire la sua voce, il suo modo di strascicare le parole anche quando cantava, le sue dita che pizzicavano le corde della chitarra, i suoi occhi attenti, che guizzavano seguendo il gattino che probabilmente dormiva nella stanza accanto. Si fece schifo da solo. Voleva uscire dalla quel corpo, da quelle mani che si erano macchiate del sangue della persona che più aveva amato. E odiato. Avevano avuto entrambi una vita molto difficile, ed avevano trovato rifugio l’uno nell’altro. Si erano sostenuti a vicenda, aiutandosi e consigliandosi. Poi, il successo. Milioni di fans, ragazzi urlanti, che non conoscevano il vero significato delle loro parole. Erano quello che entrambi odiavano. “Humans are stupid. I’m ashamed to be human.” La commercializzazione dei loro sentimenti, della loro vita. Il consumismo era una delle cose che detestavano. Era una delle cose contro cui si ribellavano. Loro componevano usando la musica come valvola di sfogo per una vita che non erano in grado di vivere, non come strumento per scalare le top ten. La musica non andava trattata con superficialità. La musica era elastica, malleabile, poteva assumere forme che facevano addirittura paura. La musica era un’amica. A volte andava trattata con gentilezza, perché fragile, volubile ed immatura, poteva rompersi in una nota sbagliata o volatilizzarsi in un pensiero mancato. Altre, invece, era più impetuosa e forte di un uragano, travolgente e cattiva, da lanciare contro il muro e raccontarle tutto di te, della tua vita e dei tuoi sogni. La musica è una delle amiche più fedeli che ci possano essere. Odiavano entrambi la fama. La musica li aveva tirati a galla, nei loro momenti bui, ed ora li stava facendo affondare. La musica li aveva uniti, e ora li separava. Se i biglietti dei loro concerti non si fossero esauriti in poche ore, se i loro dischi non avessero creato file davanti ai negozio, tutto quello sarebbe successo? I momenti sul palco diventavano sempre più sfocati, sempre più difficile dare un volto all’uomo steso al suo fianco. Eppure lo vedeva, col naso leggermente arcuato e le sopracciglia dritte, i capelli biondi. Ma non era lui, i suoi occhi erano chiusi, non erano due finestre sul mondo. Sul suo, sul loro mondo. Gli stadi erano pieni di uomini e donne che non capivano, che ascoltavano per moda, per ribellione. Ed erano quelle creature, orribili e false, a separarli, a costringerli ad occhiate lascive cariche di sentimenti non espressi, innominabili, indomabili. Le loro avversità nel tempo si erano trasformate. Avevano trovato il loro modo di vedere il mondo. Se non fossero stati costretti a reprimere i loro sentimenti in parole d’odio, in occhiate lascive, in insulti sputati… se non fossero stati costretti a reprimerli finché non era diventato impossibile respirare, finché non erano esplosi. Un rantolo fuoriuscì dalla gola del biondo. Gli occhi, con una fatica immensa, si aprirono.

“Rose… non ce l’hai fatta.” Ed eccolo lì, con quel suo sorriso non sorriso, le sopracciglia sollevate in una smorfia di ribellione, sfrontatezza e sofferenza. I pensieri di Axl si volatilizzarono in quel preciso istante. Ogni singolo atomo del suo corpo era attratto irrimediabilmente da quella voce. Sollevò gli occhi, con paura. Paura che fosse stata un illusione, paura che fosse vero.
“Kurt, tu..?” soffiò, guardandolo negli occhi.

“Vivo e vegeto. Un po’ dolorante, ma sono qui.” Fece un sorriso stanco, socchiudendo appena gli occhi. “Vieni?” chiese flebilmente. Il rosso si avvicinò lentamente, facendo una leggera pressione sulle gambe affaticate. Kurt si girò e fece un sorriso stanco, la fossetta sul mento si distese. La ferita sul ventre sanguinava, il biondo sentiva della cera bollente attorno al taglio ma non osava guardare in basso. Non voleva pentirsi, quella era la sua decisione e così sarebbe stato. Ma voleva vivere gli ultimi attimi della sua vita con Axl. Non si era mai piaciuto, si era sempre sentito a disagio, estraneo ad un mondo in cui il tempo scorreva in un modo tanto strano, estraneo alla vita di molta gente. Poi era arrivato il ragazzo dai capelli rossi, i lineamenti femminili e lo sguardo strafottente. Le labbra perennemente piegate in una smorfia di disappunto. Ricoperto di piercing e tatuaggi, Axl Rose era entrato trionfale nella sua vita. Aveva sconvolto il suo modo di pensare, di vivere, di percepire tutto e tutti. Spesso si era ritrovato a chiedersi: “cosa ne penserebbe Rose?” per molto tempo si era detto che era per distanziarlo, per non fare scelte come le sue, era anche finito per crederci. Aveva racchiuso ciò che realmente provava nel suo cuore, che piano piano era diventata una prigione. Gli piaceva infiltrarsi nei meccanismi e farli marcire dall’interno. Gli si era ritorto contro. Si era infiltrato, se pur involontariamente, in se stesso, essendo la causa della sua fine. Sull’orlo del baratro di era aggrappato ad Axl, graffiandolo con le sue unghie appuntite e divorate dall’ansia, lo aveva spinto con lui nei primi gradini. Il rosso poteva risalire, lui no. L’unico modo per morire nel minimo di felicità che la vita gli aveva concesso era vedere l’uomo che lo aveva reso vivo che tornava sui suoi passi, che si lasciava alle spalle la sua rovina –lui-, che si dimenticava quell’orribile parentesi. Quella non era una parentesi, per nessuno dei due. Kurt, che in qualche modo si era cucito addosso la figura di angelo vendicatore. O, così Axl credeva. Poteva benissimo essere una maschera che gli aveva appiccicato la gente e lui, in buon ordine, l’aveva accettato. Per quanto ne sapeva, quel fatto poteva averlo lacerato. Erano ciò che odiavano. Un singhiozzo soffocato giunse dalle labbra del biondo, che avevano perso il loro colore roseo acquistando un pallore cadaverico, come il resto del corpo. La mano corse alla ferita da cui il sangue scendeva copiosamente, formando una piccola pozza sul pavimento chiaro. Sentendo il suo corpo perforato Kurt represse un conato di vomito e si impose di non guardare il liquido che gli bagnava le mani, che si infiltrava sotto le unghie. Allungò l’altro braccio faticosamente, strizzando gli occhi dal dolore. Poi le sue dita si chiusero sul corpo freddo che era riuscito ad afferrare. Il metallo era pesante, come non gli era mai parso. Mise la pistola nella mano di Axl, che lo guardava con gli occhi fuori dalle orbite. Cos’aveva intenzione di fare? Ci aveva provato. Aveva fallito. Si era pentito. Mai lo avrebbe rifatto, mai. O così credeva. Quando il biondo gli mise l’arma nel palmo aperto e richiuse la mano sopra la sua, i suoi occhi erano una supplica. Gli chiedevano di non farlo soffrire, di dimenticarlo. La prima era possibile quanto la seconda. Kurt aveva passato le pene più orribili e ne era uscito. Il rosso non voleva dargli altre sofferenze. In un certo senso costringerlo in una vita che non gli apparteneva gli sembrava un gesto egoistico. “Quando… per favore, scrivi sulla lettera che ti amo. Per favore.” Quando il biondo disse queste parole il cuore di Axl si frantumò irrimediabilmente. Aveva deciso, e non poteva fargli cambiare idea. Ogni parte dell’essere che era stato se n’era andato nell’ultima frase dell’unico vero amore che avesse conosciuto. La voce del biondo, intanto, era sempre più bassa e roca. Il suo ultimo gesto fu lasciar incontrare le loro labbra in un ultimo, fugace bacio. I loro respiri rimasero impressi per l'eternità in quel giorno destinato a finire, in quelle vite destinate a bruciarsi. Si incatenarono con funi disposte a tutto pur di non lasciarsi andare. . Sarebbe stata l’ultima volta, l’unica intrappolata per sempre nella sua memoria. Sollevò la rivoltella, premendola contro la tempia di Kurt, che lo guardava con le sue iridi chiare. Notò una specie di sollievo nei suoi occhi, di una persona che sa che starà meglio e che spera di fare lo stesso con le persone che ama. Il cerchio freddo lasciava segni infuocati nella pelle del biondo, che con pacifica rassegnazione era convinto che non sarebbe più tornato indietro. Aveva detto addio a sua figlia, frutto di un' ipocrita relazione con Courtney, ma che non poteva far a meno di amare. Aveva salutato Boddah, sperando di avere del tempo da passare con lui dopo quello che sarebbe successo. Non aveva salutato Axl. Da lui non si sarebbe mai separato, il suo cuore, anche dopo la morte, avrebbe perso un battito pensando a lui. Con questi pensieri si addormentò per sempre. Il rosso aveva fatto scattare il grilletto, tutto era finito. “Addio, Cobain” aveva pensato con le lacrime agli occhi. Ora poteva lasciare che gli scivolassero sulle guance, bagnando il pavimento e il volto senza vita di Kurt. Con la mano tremolante scrisse “I love you” per due volte. Anche lui lo amava.


*writer’s corner*
È un autentica follia, ho cominciato a scriverla a metà agosto ed eccomi il 19 settembre a completarla. È triste, ma credo che sia una delle mie meglio riuscite (oh, che allegria!), specialmente nella prima parte. Ringrazio la Mitica Random –Ellen March- dei consigli, dei commenti e delle meravigliose favole della buonanotte. Dato che sono molto legata a questa storia mi farebbe piacere sapere che cosa ne pensate. ^^




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