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Prologo

Come tutte le mattine, il suono di “Wake Up” dei Mad Season proveniente dalla mia sveglia mi fece alzare dal letto di soprassalto. Era venerdì, l'ultimo giorno della settimana in cui sarei andato a scuola.

Mi avviai verso il bagno con aria stanca e assonnata e successivamente andai in cucina a preparare la colazione. Papà si era già avviato al lavoro: era il direttore di un'importante banca in Aberdeen, perciò provenivo da una famiglia benestante.

non m'interessava molto, ma ai miei genitori e mia sorella Sarah sì.

Loro tre formavano la solita famiglia perfetta americana. Poi c'ero io, Jeremy Roten, di cui a nessuno poteva importare.

Nemmeno mia madre era lì. Lei faceva la casalinga visto che lo stipendio di mio padre era più che sufficiente e come tutte le mattine dormiva fino a tardi.

Sarah, mia sorella, invece doveva sicuramente finire di preparasi come tutte le mattine. Per questo motivo si doveva sempre partire di corsa, ma meno male io avevo diciassette anni e da un anno guidavo la macchina, così si poteva fare più veloce.

Per fortuna stamani Sarah non fece tanto tardi. Come al solito era truccata in modo molto pesante e molto inopportuno per una ragazzina di quattordici anni, ma io decisi

di non dire nulla e gustarmi la mia colazione in silenzio. Ero stanco di spiegarle cosa era giusto o sbagliato, tanto non mi avrebbe mai ascoltato. Il peggio è che mamma e papà a volte l'hanno vista uscire in questa maniera vergognosa da casa, ma non si sono arrabbiati, anzi, erano tutti contenti e facevano commenti del tipo “Guardate com'è cresciuta la mia bambina!” “In questo modo conquisterai tanti ragazzi”. Da rimanere senza parole per lo schifo. Purtroppo lei si è lasciata trascinare dai genitori, ma io non ho voluto seguire le orme della classica famiglia riccona e popolare. Così a dodici anni quando scoprì la musica grunge mi feci crescere i capelli, cominciai a non comprare più vestiti di marca ma solo abiti trasandati e decisi di non frequentare più tutti i figli degli amici dei miei genitori che stavano prendendo la strada di mia sorella.

Perciò diventai la pecora nera della famiglia, l'elemento di cui non si cura nessuno.

Finita la colazione, io e mia sorella ci avviammo alla macchina e la misi in moto.

Senza sapere perché, come abitudine lei doveva sempre raccontare tutti i suoi gossip nel tragitto per andare a scuola. Mentre durante la colazione non spiccicava mai parola.

E anche quella mattina fu così. Che barba, non me ne poteva importare nulla dell'ennesimo bellimbusto con cui usciva o di quel che aveva combinato una delle sue

amichette idiote.

“Jeremy, devo raccontarti cosa è successo ieri sera! Non ci posso credere!” disse con la sua voce stridula aggiungendo pure qualche gridolino.

“Spara” borbottai disinteressato.

“John, quel giocatore di basket troppo figo, mi ha chiesto di uscire con lui!” urlò con quel tono insopportabile. Quella gallina doveva rompere fin da subito?

“Bene” mormorai scocciato dai suoi discorsi da imbecille.

Poi mi raccontò tutti i dettagli di questa storia che non seguì per nulla finchè non fummo giunti a destinazione.

Odiavo la scuola: tutti mi prendevano in giro perché ero molto diverso da tutti gli altri ed eri qualcuno solamente se facevi parte delle cheerleader per le femmine o se eri in qualche squadra sportiva per i maschi. Ovviamente mia sorella era una delle cheerleader e pur essendo al primo anno di scuola superiore, era una delle ragazze più popolari. I miei genitori di ciò ne andavano davvero orgogliosi. Hanno esortato di far diventare popolare pure me, ma non me importava nulla. Non volevo diventare il solito giocatore di football sciupa femmine, non erano questi i miei obiettivi della vita.

E soprattutto le ragazze non mi interessavano essendo gay. Non ho potuto parlare con nessuno della mia sessualità perché i miei e pure mia sorella erano omofobi e temevo la loro reazione e non avevo amici.

Mi ero accorto di provare qualcosa per i maschi a tredici anni: io e la mia famiglia eravamo ad una delle solite cene tra amici dei miei genitori a cui mi avevano trascinato con molta fatica.

A quella festa c'era un ragazzo, che allora aveva la mia età, ed era ad dir poco bellissimo. Da lì mi sentii terribilmente attratto dal sesso maschile e più tardi mi accorsi pure che le donne non mi piacevano: proprio il giorno dopo uscii con una ragazza innamorata di lei e non mi divertii per nulla stando con lei, non provavo nulla.

Pensavo solo a quel ragazzo (il suo nome era Carl) che avevo visto alla cena.

Era l'unico motivo per cui andavo a quelle stupide feste con gente riccona e odiosa in silenzio. Era solo stupendo, ma anche simpatico, dolce...lo adoravo, vedevo solo pregi in lui.

Però un gran bel giorno lo vidi a baciarsi con mia sorella (che aveva solo undici anni, era decisamente troppo piccola) e ci rimasi malissimo.

Non potevo sfogare il mio dolore a nessuno: non avevo amici e se tutta la mia famiglia avesse scoperto la mia omosessualità mi avrebbe cacciato di casa. E ancora oggi non ho avuto il coraggio di dire nulla.

Essendo immerso nelle mie riflessioni, il suono della campanella che annunciava l'inizio delle lezioni mi fece venire un colpo al cuore. L'unica cosa per cui andavo volentieri a scuola erano le lezioni e i voti soddisfacenti che ottenevo. Amavo studiare e imparare nuove cose, peccato che per i miei genitori ciò non contava nulla. A loro piaceva di più Sarah perché era bella ed era la ragazza più popolare della scuola, poi se aveva F in tutte le materie chi se ne importava?

La mattina scorse molto velocemente e all'ora di pranzo come al solito mi avviai alla mensa in un tavolo da solo senza farmi vedere da Ben, un secchione insopportabile che tutti credevano fosse il mio migliore amico (lui compreso), ma io lo disprezzavo troppo. Ma con tutti mi comportavo così: ero misantropo.

Ad un tratto in una finestra bussarono dei barboni chiedendo cibo e soldi. Tutti parevano schifati e nella mensa si potevano udire frasi come “Mandate via questi pezzi di merda” o “Non avrete mai il nostro cibo”.

Ecco perché non sopportavo la gente: come si faceva a non impietosirsi davanti a delle persone senza cibo e senza casa? Ma un cuore?

Non avendo tanta fame, misi il mio pranzo nello zaino e di nascosto uscii dalla porta d'emergenza. Quando tirai fuori gli alimenti, per i senza tetto fu un'esplosione di gioia . Fui pienamente orgoglioso della mia azione.

Ma prima di andare via, fui colpito da uno di quei straccioni e mi fermai a fissarlo: assomigliava troppo a Kurt Cobain.

Non era possibile. Kurt era morto nel 1994 e ora ci trovavamo nel 2015, sarà stato qualcuno a cui assomigliava tanto.

Indossava un cappello che gli ricopriva la fronte e una sciarpa che gli ricopriva la bocca e lasciava scoperti solo gli occhi. Quegli occhioni blu, li avrei riconosciuti da un miglio! Erano i suoi! E quel corpo scheletrico, i suoi capelli biondi e sporchi...

Era ancora vivo.

Ne ero sicuro.

Non lo so, avrei dovuto scoprirlo.

Capitolo 1

Una scoperta incredibile

Fissai a lungo il vagabondo che assomigliava a Kurt Cobain e vidi che lui fu pienamente infastidito dal mio gesto. Per non destare sospetti cercai di rientrare silenziosamente nella mensa, ma appena misi il piede nel davanzale della finestra venni bloccato dalla voce grave e triste del senzatetto:”Ehi, si potrebbe sapere perché tu mi stai fissando da quando sei uscito dalla finestra? Sono così bello?”

Accidenti! Ero stato scoperto! A questo punto riferii ciò che pensavo, anche se dalla mia bocca poteva uscire una stupidata:”Ehm, signore...lei è simile a Kurt Cobain e magari potrebbe essere lei...”

“Per favore” parlò il barbone con la sua solita voce bassa ma chiaramente adirata “Cobain è morto vent'anni fa, dimmi come fa ad essere ancora vivo.”

Ci avevo sperato fino in fondo che fosse Kurt, invece era il solito senzatetto burbero che odiava tutto e tutti. Così mestamente ritornai a scuola e vidi che la mensa era vuota. Cavolo, avevo fatto addirittura tardi a lezione di inglese! Sapevo com'era il professor Barton, mi avrebbe mandato in presidenza!

A quel punto decisi di saltare i corsi pomeridiani, tanto si doveva ripassare gli argomenti per il test di domani e io ormai era da tempo che li studiavo e li sapevo benissimo, peccato che i somari della mia classe non avessero acquisito ancora le conoscenze.

Perciò scrissi un messaggio a Sarah e le dissi come scusa che dovevo uscire perché avevo il mal di testa, e che di conseguenza non la potevo riportare a casa perché non ci sarei stato.

Così mi avviai all'uscita e ancora lì davanti c'erano i senzatetto che ancora mi ringraziarono per il cibo. Ad un tratto vidi pure il simile di Kurt e decisi di avviarmi velocemente alla macchina, vergognoso della figuraccia che avevo compiuto nei suoi confronti.

“Dove vai?” e di nuovo sentii quella voce spenta. Quel tizio mi stava iniziando a far paura, ora cosa voleva da me?

“M-mi ss-senitivo male p-perciò” risposi balbettando “s-sono uscito d-da scuola”. Ovviamente anche a lui non dissi la verità, tanto che ne poteva sapere? Poi odiavo ammettere che avevo saltato una lezione a causa del ritardo: ero una persona senza alta autostima, ma una parte di me era veramente orgogliosa. Specialmente si trattava di scuola.

“Vieni con me” mi ordinò con un'aria da sbruffone “ti devo dire una cosa importante. A casa ci vai dopo.”

E ora cosa mi avrebbe fatto? Mi avrebbe rapito? A me quel signore non piaceva per nulla, aveva un'aria che non prometteva niente di buono. Ma secondo me era meglio seguirlo o non avrei saputo cosa mi potrebbe aver fatto.

Ci avviammo alla baracca vicino alla scuola. Prima era il caffè più importante della città, tanto che tutti i ragazzi, finite le lezioni, andavano sempre a far merenda lì.

Poi due piromani gli diedero fuoco e ne è rimasta solo un edificio senza tetto e con le mura semidistrutte e viene usato dai barboni come “casa”.

“Sicuramente se abiti ad Aberdeen da sempre sai bene cos'è questa baracca” mi informò.

“Sì, lo so” replicai con voce strozzata e ansiosa.

“Allora è inutile che ti stia a spiegare tutta la storia se la sai...comunque è anche “casa

mia” mi raccontò facendo le virgolette con le dita quando disse le parole “casa mia”.

Entrati dentro, lui m'invitò a sedermi ad uno dei tavolini incendiati. Prima erano di un

blu sgargiante che potevi ben vedere da lontano, ora era solo un ammasso di carbone che non sapevo nemmeno come faceva a reggersi in piedi.

Quando si fu seduto il tizio, iniziò a parlarmi:”Allora, io racconterò queste informazioni siccome sei un grunger e mi sembri un tipo molto affidabile. Ti avviso che sarai il primo in tutto il mondo a sapere questa cosa molto importante e privata, perciò quel che ci saremo detti qui non deve essere riferito a nessuno. Te lo dico solo perché ho bisogno di parlarne di qualcuno visto che sono stufo di nascondermi sempre. Ci siamo intesi?”

“Intesi” risposi con un tono molto terrorizzato. Quale segreto doveva dirmi quell'uomo? C'era qualcosa di troppo losco e strano in questa situazione.

Mentre ero assorto nei miei pensieri, l'uomo mi gettò davanti alcuni oggetti: c'era una green card scaduta nel 1994 di Kurt Cobain, una cassetta con un'etichetta in cui c'era scritto “You Know You Are Right” e una foto di quella che avrei dovuto presupporre sia stata la camera di Kurt. A quel punto tutte le mie ansie e paure si tramutarono in una gioia incredibile. Così alzai la testa e domandai entusiasta all'uomo:”Perciò tu saresti davvero Kurt?”

Con un sorriso a trentadue mi rispose:”Certo, sono io”.

Il secondo incontro

In quel momento non ci capii più niente: no, non poteva essere per niente possibile. Ero stato gabbato? O era la verità?

Ma in pochi secondi, per lo shock della notizia e per tutte le domande che mi si stavano affollando nella mia testa, sentii che stavo per svenire e decisi di andarmene di andarmene subito via.

"Kurt devo andare assolutamente a casa, non mi sento bene."

"Va bene Jeremy, tranquillo, vai pure." mi disse con un largo sorriso che io vidi sfocato. Oddio, sentivo già che le forze stavano per abbandonarmi...

Uscì fuori e non so perchè mi misi a correre come un pazzo disperato. In quel momento non capivo più nulla. Non sapevo dov'ero, che cosa dovevo fare...niente.

Fortunatamente dopo cinque minuti ripresi i sensi e vidi che si erano fatte le quattro. Dovevo assolutamente tornare a scuola a prendere Sarah, tanto le lezioni erano già finite e avevo perso un pomeriggio. Veramente ottimo Jeremy, veramente ottimo. Vabbè, dovevo pensare che avevo fatto una bellissima scoperta importante, ma mi aveva completamente disorientato.

Arrivato al parcheggio, Sarah mi stava già aspettando con quello che avrei molto probabilmente dovrebbe essere stato John, quello che lei chiamava "quel giocatore di basket troppo figo con cui esco"; peccato che era tutt'altro che "figo": davanti a quei capelli ridicoli a scopettino e a quel fisico super pompato avrei voluto sicuramente vomitare. Sinceramente non era proprio il mio tipo di ragazzo, poichè avevo un debole per i rocker con i capelli lunghi o con un gran groviglio di ricci e magri. Ma da mia sorella non potevo aspettare di meglio, quello poco ma sicuro. Signori e signori, ecco la moda orribile degli anni 2010, di cui John era il più grande esempio.

"Jeremy, siamo qui non ci vedi?" urlò con quella vocina davvero fastidiosa e stridula, anche molto odiosa.

Un "Sì, arrivo" detto senza particolari emozioni fu la mia unica risposta.

"Questo è John, il ragazzo con cui esco! John, questo è mio fratello Jeremy, fate pure conoscenza!" esclamò con (sicuramente finta) gioia. Lo so che lei mi odiava perché ero strano, e anche lui mi avrebbe odiato di sicuro.

"Piacere" rispose John. Mi diede un'occhiataccia che sembrava voler dire "ma questo tizio sarebbe il fratello della mia quasi ragazza? Com'è possibile?", ma ormai ci ero abituato ad essere malvisto, perciò non ci feci nemmeno caso e tornai a pensare a Kurt. Ero così sovvrapensiero che Sarah prese la mia chiave della macchina (e non me ne accorsi!), la aprì e completate tutte le azioni mi dovette chiamare con la sua vocina stridula per poter andare alla guida.

Salito nell'automboile, decisi di tacere su ciò che era accaduto oggi, John e Sarah non erano decisamente le persone giuste per confidarmi.

Appena misi in moto il motore, sentii da dietro la vocina fastidiosa di Sarah parlare ma non badai molto a quel che disse, poichè erano chiacchere inutili del tipo "tizio e tizia si sono messi insieme" "quello è molto popolare e mi sta tanto simpatico".

Ma ad un certo punto, Sarah toccò un punto molto dolente che mi fece perdere il lume della ragione. Tra un gossip e l'altro parlò anche di un giocatore di football molto popolare nella

nostra scuola che era appena uscito allo scoperto con il suo coming out. M'imbestialì, e non poco, quando iniziò a disprezzarlo e a dire cose come "mi ha deluso" "che spreco" e peggio di tutte le altre, "che schifo". E ovviamente John da buon bigotto idiota (che poi chiamarlo idiota è davvero poco) acconsentì pure a quello che diceva! Ma tanto che dovevo aspettarmi da lei? Erano tutti così i numerosi ragazzi che frequentava, e casualmente erano tutti figli di papà. Di tutte le famiglie di Aberdeen ormai io ero l'unico figlio di papà che non seguiva l'educazione schifosa data dai genitori.

"Allora" esordì creando un po' di stupore nella fantastica coppietta poichè non avevo spiccicato parola per tutto il tragitto "che ci dovrebbe essere di male in un ragazzo gay? E' uno come tutti noi, solamente che invece di provare attrazione per le ragazze, ce l'ha sui ragazzi. E per questo dovrebbe essere considerato uno stronzo e lo escludete? Voi dovete capire che l'amore è amore, indifferentemente dal sesso della persona per la quale proviamo questo sentimento."

Io ovviamente ero solito a lanciare discussioni visto che non ero mai d'accordo con la gente del posto, perciò ero abituato a litigare ed a esprimere molto apertamente la mia opinione. Soliamente ero anche pacifico, ma dopo quella strana scoperta che mi affligeva dei dubbi ero molto nervoso e stanco, perciò persi il controllo e la mia reazione fu molto più dura.

Dopodichè John rispose dicendomi:"Sì però un gay non è un vero maschio, è un gran schifo, e poi se Dio ha creato l'uomo e la donna un motivo c'è." innervosito e pensando ad altre cose, decisi di non infierire ulteriormente.

Dopo questa frase nessuno disse più nulla, tranne Sarah che cercava di calmare quell'orribile

bigotto, ma quest'ultimo era decisamente adirato e replicava con un gelido:"Non ho voglia di parlare".

Arrivati a casa, John mi chiese di poter parlare cinque minuti con mia sorella e di doverli lasciare soli. Io acconsentì e mi congedai, non avevo voglia di passare dell'altro tempo con lui.

Mentre ero sul letto poichè mi volevo rilassare un po' da quella bizzarra giornata, sentii un bussare molto forte alla porta della camera e la voce stridula di mia sorella che non prometteva niente di buono."Aprimi Jeremy, ti prego è grave" essendo molto preoccupato aprii la porta e con aria interrogativa chiesi:"Cosa c'è Sarah?".

Urlando fortissimo con tutta la sua voce, disse:"John non mi vuole più frequentare, sto malissimo, e sai perchè è successo tutto questo? Perchè ho un fratello con delle idee assurde come te, che è davvero un ignorante e che come al solito apre la bocca per dire delle stronzate che non stanno nè in cielo nè in terra!"

E ora che avevo fatto? Vero che avevo litigato per quella faccenda dell'omosessualità, ma nno era possibile che avesse smesso di frequentare mia sorella per questo. Dopotutto era il suo possibile ragazzo, non il mio.

"E lo sai quali sono le famose cazzate che hai sparato? Quelle sui gay, che possono essere accettati senza problemi! Ma mamma e papà cosa ti hanno insegnato? Dovresti provare ripugnanza per quelle persone, non difenderle! E cosa più grave, ho perso una persona a cui tenevo tantissimo per colpa tua! Guarda che ho già informato mamma e papà dell'accaduto, e sono molto arrabbiati! E ora sei in punizione e dovrai accompagnarmi da ogni parte che voglio io! E stasera mi porti in discoteca, e non si discute" e invece si era adirato per quello, non potevo crederci. Perchè dovevo essere nato in una famiglia di stupidi religiosi ricconi? Non accettavano niente, incredibile. E ormai dovevo piegarmi a loro ed accompagnare Sarah alle sue stupide feste.

Dormii fino alle dieci di sera, non avevo nemmeno mangiato: non avevo proprio fame, il mio stomaco era completamente chiuso. Poi bussò con violenza quella ragazza che nemmeno avrei potuto chiamare sorella visto il trattamento che mi riservava dicendomi di accompagnarla immediatamente in discoteca perchè stava facendo tardi.

Mezzo assonnato mi alzai e non dissi niente, non volevo peggiorare il mio umore ulteriormente.

Così portai mia sorella fino al locale (nemmeno un saluto e un ringraziamento da parte sua arrivarono).

Mentre tornavo a casa, rividi quella figura alta, magra e sporca che oggi mi aveva detto proprio di essere Kurt Cobain. In quel momento venni proprio illuminato: la giornata cambiò da così a così. Parcheggiai il suv male, ma non me ne importò niente, l'unica cosa era poter riandare da lui. "Kurt" gridai in preda alla felicità più assoluta e lo abbracciai. Anche lui, fortunatamente, era davvero contento di potermi rivedere.

"Vieni con me, andiamo insieme nella capanna e potremo parlare" mi disse.

Lo seguii soddisfatto.


Cap 3 Una nuova speranza

E rientrammo là dentro, in quella capanna abbandonata da dove tutto era iniziato. Ancora in me c'erano dei dubbi, ma per non farsi inutili paranoie e stare più in pace con me stesso, decisi di crederci. Era qualcosa che sognavo da tutta la vita, perciò era meglio farsi delle illusioni invece di stare a lambiccarsi ventiquattro ore su ventiquattro.

“Siediti” mi disse ed io presi posto in una sedia mezza sbilenca, era decisamente scomoda ma non essendoci di meglio mi accontentai.

“Allora” iniziò a parlare accendendosi una sigaretta stantia “come ti ho già detto mi sembri un tipo piuttosto affidabile, perciò a te svelerò la mia storia dopo il mio finto suicidio.”

“Ma perché proprio io? Cosa avrei di speciale?” domandai alquanto imbarazzato.

“Sei l'unico in questa città che sa davvero cosa vuol dire essere un grunger, al contrario di tutti gli altri! Anzi, è stato tutto rovinato, per questo avevo pensato seriamente di suicidarmi, poi ho visto persone come te e la speranza è riaffiorata, e ho deciso di rimanere in vita per condividere la mia passione con voi appassionati...questo è il motivo, caro mio Jeremy” spiegò terminando il discorso con una faccia inquietante che mi fece sobbalzare dalla sedia.

“Comunque devo raccontarti tutta la mia storia.” riprese “Dopo essere diventato molto popolare con “Nevermind”, è iniziato l'inferno. Non avevo mai pace tra concerti, apparizioni televisive, fans...ero diventato ricco, ma di sicuro non felice. Ho provato varie volte a tentare di finire la mia vita una volta per tutte, ma non ne ho mai avuto il coraggio, perciò ho deciso di scomparire dalla vista e di rinunciare anche alle persone a me più care sebbene sia stato difficile, ma non volevo continuare in quella “prigione dorata”. Così scrissi una lettera d'addio a Courtney e Francis Bean, mi feci un lieve taglio nel dito e infilai il sangue nell'orecchio e sbattei il capo in un muro apposta per svenire. Gli investigatori quando mi trovarono mi credettero immediatamente morto, non sentirono nemmeno il battito del cuore; la cosa mi stupì altamente perché non avevo molta fiducia in questo piano visto che mi risultava impossibile. Avevo previsto che mi facessero il massaggio cardiaco, che mi portassero all'ospedale...niente, probabilmente (ma molto probabilmente) ero antipatico a loro per qualche sconosciuto motivo, ma così tanto da non volere più la mia vita. Rimasi davvero scioccato da quella visione, però ero felice perché ero riuscita a svignarmela e potevo vivere in pace la mia nuova vita.

Rimasi privo di sensi almeno per un giorno vista la grossa botta che avevo preso, dopodiché scappai ed il mio corpo non fu ritrovato da nessuna parte perché mi ero rifugiato nei boschi, dove nessuno mi potesse riconoscere. Dopo tanto tempo ormai il mio corpo era invecchiato e sarei stato sicuro che nessuno potesse dire:”Ma quello è Kurt Cobain!”, difatti è andata bene tranne in pochi casi nei quali me la sono cavata dicendo che ero un sosia o semplicemente affermando la somiglianza. Così mi sono ritrovato per vent'anni a vivere come un barbone girando per tutti gli Stati Uniti, però non credo di essere stato male fino a pochi giorni fa, quando ho deciso di dover parlare con qualcuno del mio segreto e di non rimanere più nascosto.”

Ero appena sconvolto da quel che avevo sentito, e non poco. Ed anche seriamente spaventato da quella situazione piuttosto particolare.

Preso da un attacco d'ansia, decisi che la cosa migliore dovesse essere scappare e non vedere

mai più Kurt. Non so perché volli prendere quella decisione, non ero per niente lucido, ma non ci vedevo nulla di buono e non volevo rientrare nel mezzo di una situazione molto complicata. Ero il solito tipo che cercava di scappare dai problemi, lo sapevo che come atteggiamento fosse stato molto sbagliato però nel panico totale non potevo fare altro. Ormai a quel punto non sapevo se fidarsi fosse bene o non fidarsi meglio.

“Ok è stato un piacere vederti, ma adesso devo andare ciao!” dissi frettolosamente.

“Ciao...” sussurrò leggermente esterrefatto dalla mia reazione. Basta, non l'avrei mai più visto, non volevo complicazioni nella mia vita; dovevo già combattere contro la mentalità chiusa della mia famiglia, e quello era sì un grosso problema.

E soprattutto, si era fatto molto tardi e dovevo andare a prendere Sarah in discoteca. Se fosse stata per me io l'avrei lasciata volentieri lì a fare la cretina, però era mia sorella ed in fondo mi dispiaceva. Così misi in moto l'automobile e partii.

Mentre stavo guidando, un pensiero alquanto scomodo mi attraversò la mente: cosa avrebbero pensato i miei genitori non vedendomi più arrivare a casa? Di sicuro non mi avrebbero creduto se avessi detto loro di essere andato in discoteca con Sarah perché lei avrebbe smentito ciò. Io, essendo un tipo purtroppo anche troppo onesto, decisi di dire loro una mezza verità, ovvero che ero andato dai barboni (sempre che mi avessero chiesto delle spiegazioni). Ormai ero pronto a tutto, se mi avessero cacciato di casa a me sarebbe stato pure bene, meglio con dei barboni che con degli stupidi.

Avevo già preso in considerazione tante altre volte di scappare, però non avevo mai avuto il coraggio. Non so perché, ma l'idea di non essere più protetto da qualcuno mi dava ansia, perciò decisi di non fare nulla finché loro non mi avessero detto:”Vai via di casa!” o finché non fossi stato autosufficiente. Odiavo la vita da figlio di papà, ma di certo non avevo voglia di vivere come un barbone: la via di mezzo era l'ideale.

Appena arrivato al parcheggio della discoteca decisi di controllare il cellulare per vedere se qualcuno mi avesse mai contattato non avendolo sentito, ma non trovai nessuno messaggio. Se fosse stato per Sarah lei sarebbe rimasta fino alle cinque del mattino in discoteca e mi ricordai appena che i genitori erano ospiti a cena dagli Smiths, perciò tirai un sospiro di sollievo pensando che questa volta l'avevo scampata.

Mentre cercavo di chiudere gli occhi per dormire (tanto mia sorella ne avrebbe avuto per molto altro tempo), mi arrivò un messaggio da mamma.

Noi siamo tornati a casa ma non ti abbiamo trovato, sei andato già a prendere Sarah? Mi raccomando, se entro le quattro non esce entra dentro e prendila!”

Leggendo quel “entro le quattro” mi adirai un po' non solo perché -essendo l'una- non avevo voglia di passare tre ore in un parcheggio abbandonato, ma perché non poteva esistere che una ragazzina di quattordici anni rientrasse così tardi dalla discoteca! Il peggio è che se io avessi voluto andare ad un concerto dovevo tornare entro mezzanotte, ed avevo diciassette anni, sì facevano poche preferenze nella mia famiglia!

Sopratutto mi preoccupava quel che poteva fare Sarah dentro a quella discoteca, “belle” cose come fare sesso con un maggiorenne, drogarsi, fare la gatta morta con qualsiasi ragazzo le passasse accanto...ed io non volevo, no. Dopotutto anche con il suo caratteraccio le volevo bene, forse non era nemmeno colpa sua se quello era il comportamento. E' stata tutta colpa della società ed il peggio è che io ho fatto di tutto affinché non diventasse uguale a tutti gli altri, però purtroppo tutta la gente che ci circondava ha sbagliato ed è successo quel che è successo. Io ci provavo ancora a cambiarla, non persi mai le speranze, probabilmente ci speravo ancora.

Sì, sono già qui mamma, stai tranquilla.” risposi al messaggio, ed appena riposto il telefono dentro la tasca dei miei pantaloni sentii una voce:”Ehi amico!”

Era Ben, Ben McMillan, oddio. Anche qui doveva rompere le scatole?

“Ciao.” risposi, e nonostante non volessi apparire scocciato dalla sua presenza davanti ai suoi occhi credetti di non essere riuscito nell'impresa poiché la sua faccia s'incupì un po', ma

dopo pochi secondi riacquistò il suo solito entusiasmo da ragazzino sfigato.

“Jeremy, allora cosa ci fai qui? Perché te ne stai qui quando tutti i ragazzi là dentro ballano, ti perdi tutto il divertimento sai! Io sono stato dentro a quella megagalattica discoteca e mi sono gasato tantissimo, con quella musica tunz-tunz...sai, ho fatto bene ad incominciare ad andare in discoteca, vedi a che serve fare da tutor a così tanta gente? Pian piano qualcuno conosci, e t'invitano pure in discoteca wow! Cavoli, non passavo una bella serata da quando andavo a giocare a Yu-Gi-Ho al Game Shop, poi ho compiuto quattordici anni e i miei genitori mi hanno tassativamente proibito di andarci perché dicevano che fosse una cosa per bambini piccoli, ma io ci stavo così bene non è giusto! Però andare a ballare è meglio...vedi tante belle ragazze, eh?” e qui sperai che avesse finito di chiacchierare, e nonostante non m'interessasse, anzi mi infastidiva pure, la sua presenza, decisi di replicare al suo lunghissimo discorso ma appena aprii bocca lui iniziò di nuovo a parlare:”Ma Jeremy, non vuoi andare con me a ballare dopo averti detto che ci sono delle belle ragazze, potresti fare conquiste sai? Per caso ti sei convertito all'altra sponda? Sai, se è per questo ci sono pure dei bei ragazzi (almeno secondo me, non posso giudicare più di tanto eh) non ci dovrebbero essere problemi...”

Non riuscivo a sopportarlo più, però per non essere scortese con l'unica persona che mi voleva bene in questa città decisi di scendere e gli dissi:”Dai, ti accontento ed andiamo un pochino a sederci nel parco per farti compagnia, in quell'orrenda discoteca non ci entro.”

“Ma è buio, in discoteca è più divertente dai, c'è tanta gente tanta vita...e poi avevo detto a Quincy che sarei stato fuori solo per un po' di tempo perché dovevo prendere una boccata d'aria, sai si preoccuperà poverino, e poi al parco cosa ci facciamo magari viene qualche delinquente e ci deruba oppure ci stupra, lo so che siamo maschi però esistono pure gli stupratori gay...”

“Ben andiamo, non perdere tempo in chiacchiere!” urlai così forte che pure un gatto scappò via a gambe levate. Sapevo che lui si faceva semplicemente trascinare dagli altri, perciò bastò solamente alzare un pochino la voce che lui si calmò. Lo sapevo che magari Ben non fosse stato il massimo della compagnia, ma avevo bisogno di passare il tempo ed in quel momento mi bastava chiunque.

“Va bene, andiamo” lo sapevo che l'avrei convinto.

Sulla panchina parlammo del più e del meno (anzi, fu soprattutto lui a parlare e io farfugliavo qualche monosillabo perché non mi dava spazio per poter proferire qualcosa).

“...perché sai, a quel compito in classe ci tenevo moltissimo e farlo bene per me era necessario. Così mi chiusi in casa tutto il giorno e studiai, ripetei tante volte l'argomento...furono venti o ventuno? Bah, questo non lo ricordo, comunque riuscii a prendere un A+ a quel test difficilissimo. Pensa che il voto più alto è stato B-, credo di essere stato un genio!”

“Ma che bello quel gatto, quanto ne vorrei uno anch'io! Ne avevo uno quando ero piccolo, si chiamava Scott poi purtroppo è morto. Mia nonna se ne occupava molto volentieri, anche lei amava gli animali come me, sai, mi ricordo quei bellissimi weekend da lei...”

“Ben, finiscila con queste emerite idiozie ti prego, devo andare vedo mia sorella da lontano...”

“...avevo la casetta sull'albero, era bellissima, mi ci rifugiavo sempre quando litigavo con i miei genitori...”

“BEN FINISCILA, DEVO ANDARE DA MIA SORELLA!”

“Oh scusa stavo parlando e non ti avevo sentito, ciao Jeremy ci si rivede. Ora torno un po' in discoteca” si congedò accennando qualche passo di danza scoordinato.

“Jeremy, menomale che ti ho trovato sto malissimo, ti giuro!” singhiozzò Sarah attaccandosi addosso a me come una cozza.

“Stai tranquilla, ora sei con me” la rassicurai cercando di mantenere la calma, anche se fu difficile perché non sapevo cos'era successo “ma perché non mi hai chiamato al cellulare? In questo caso sarei venuto immediatamente da te! Che ti è successo?”

“Ti avrei chiamato Jeremy, se solo non mi avessero rubato la borsa!” gridò dimenandosi con una rabbia terribile.

Ed appena udita quella frase, il mondo mi cadde addosso.





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