Partecipante al 2° round del "12 mesi di Fedeltà".
Giudice: funinthecorner.
Tema: La Felicità.
Difficoltà: - personaggi non autoreferenziali;
- menzionare almeno due caratteristiche fisiche di un personaggio coinvolto nel racconto.
Nonostante il titolo sia tratto da "Heart Shaped Box", le canzoni ideali per leggere questa storia sarebbero "Come as you are" e "Lithium".
Io non sono una scrittrice di quelle d'azione, le mie fanfiction per lo più si basano su ragionamenti e riflessioni e cose così, al massimo descrizioni. Sono statica. Questo mi ha portato a decidere di descrivere Kurt Cobain attraverso gli occhi di un uomo - ben più di un semplice ammiratore. Lo slash è lievissimo, e l'"attrazione", se così vogliamo chiamarla, non sarà corrisposta. La storia del protagonista - l'essere stesso del protagonista - sarà soltanto marginale e funzionale all'essere di Kurt Cobain.
Io non conosco Kurt Cobain, non sono stata pagata per scrivere su di lui, né ciò che racconto è da considerare veritiero; oltre a questo, non mi considero neanche un'esperta della sua vita, nonostante "I Diari" pubblicati e le sue interviste che ho letto, credo ci sarebbe stato ancora molto da scovare. Forse, però, quello che ho ricavato di lui dai testi che ha scritto e dai suoi pensieri può essere entrato nella mia testolina. Vorrei tanto esser riuscita a comprendere Kurt Cobain, anche solo in parte. Altrimenti questa cosaccia qui sotto è un sacrilegio e lui si starà rivoltando nella tomba per un'altra commercializzazione delle sue parole. Per fortuna questa storia non verrà venduta, quindi forse non se la prenderà troppo. Chi lo sa. Sto straparlando, vi lascio finalmente alla storia - spero vi possa almeno un po' piacere. (In sintesi: questo fandom mi spaventa, ecco tutto).
Casa Cobain non ha né capo né coda. C’è un divano che un tempo doveva essere stato molto piacevole da guardare parcheggiato nell’ingresso; le molle sbucano fuori dal tessuto marrone scuro assieme a parte dell’imbottitura.
I tappeti puzzano di sigarette quasi quanto ogni tessuto lasciato a se stesso da più di due giorni. Qualche volta ci sono anche delle macchie dalla dubbia costituzione, classificate come vino, birra o salse.
Kurt si siede al tavolo della cucina, per metà ingombro di riviste. Ciò che si pensa quando si vede quella pila di settimanali – e soprattutto il genere – è che i Cobain ci si puliscano il culo. Ascoltando anche poche parole del cantante dei Nirvana risulta chiaro non sia la persona giusta a cui chiedere della vita mondana e dei pettegolezzi più succosi.
« Le pagine sono ottime per i lavori domestici, quelle dei quotidiani sono troppo sottili » svela.
Quando arriva Courtney la stanza si riempie di parolacce e rumori striduli. Poggia di fronte a me e Kurt due bibite in lattina, due tonfi mentre lancia una smorfia nella mia direzione.
È una donna adorabilmente fastidiosa e rumorosa, presente, Kurt la guarda come probabilmente contemplerebbe una dose di qualsiasi sostanza stupefacente abbia tra le mani che in realtà è anche sua madre. È questa la prima impressione. Sotto la superficie c’è anche dell’odio, vedo.
Il ripiano della cucina è sommerso da tegami e stoviglie. Courtney si ferma di fronte al lavabo accarezzando con la pancia rigonfia di quella mi dicono sarà una bambina i mobili di legno graffiati, soltanto il tempo di riempire un bicchiere d’acqua per poi sparire dalla vista – e comunque rimanere nell’aria con il suo aroma di profumo intenso, è incomprensibile se sia femminile o maschile, e l’insolita vitalità emanata da tutta nella figura eccentrica e colorata – sbottando: « Non siamo sempre così disordinati ».
Mentre si lascia alle spalle l’arco che divide la cucina dal salotto ancheggia. Kurt ride. Suono rauco e cavernoso.
Se si dovesse descrivere l’aura trasmessa da Kurt Cobain non ci si riuscirebbe. È una presenza avvolgente, calda, animata da uno spirito di giustizia. Verrebbe voglia di unirsi al coro di haters convinti sia un pazzo depresso e dagli atteggiamenti autodistruttivi. Ma è tanto di diverso in una sola persona – come qualsiasi essere umano, del resto. È un bambino sperduto, un disilluso e un cinico, un musicista appassionato, un padre a cui brillano gli occhi, un impaurito essere umano, un ironico commentatore, un mordace amatore di musica, un amante brillante dell’arte. Dice di odiare stare al centro dell’attenzione – gli è difficile, si chiede cosa ci potrebbe essere in lui di tanto interessante –, si infiamma a raccontare dei suoi fan e gli si arrossisce la faccia a inveire contro i discografici, i giornalisti, e tutti quelli che attorno alla musica, in particolare la sua, si arricchiscono.
Si sente in colpa, annuncia.
Non è ben chiaro per cosa, poi scrolla le spalle e si trasforma nel genitore preoccupato per le influenze negative che il padre di Courtney e il suo hanno avuto su di loro. Sono spaventati – terrorizzati – dall’idea di non essere all’altezza.
Accende una sigaretta e il suo corpo sembra protendersi verso la cicca, verso il fumo – come se Kurt Cobain iniziasse e finisse nella dipendenza.
Con i suoi occhi liquidi trafigge le persone quando meno se l’aspettano. Trafigge anche me – mi sento scoperto e vulnerabile. È come star ascoltando una sua canzone lasciarsi trapassare così.
Sono famosi questi sguardi di un azzurro oscuro che ti smuovono qualcosa dentro.
« Tu sei felice, amico? Sei soddisfatto del tuo lavoro e di quello che sei? ».
Gli dico che tra essere soddisfatti ed essere felici c’è un bel po’ di differenza e che non so rispondere a nessuna delle due domande. « Penso si possa sempre migliorare. E tu? ».
Perché Kurt Cobain ruota sempre attorno alla felicità, in tutto ciò che fa e contempla. È la sua ossessione, forse?
Il Nirvana è uno stato di beatitudine, dopotutto.
Un gatto si avvicina a noi silenziosamente, fa le fusa contro le gambe di Kurt.
« Sta nei dintorni, gli facciamo trovare sempre una scodella di cibo in scatola ».
Dalle finestre colorate del piano terra si scorgono rami d’alberi ricoperti di foglie. Il prato sul retro della casa ha l’erba alta e le sterpaglie, fiori selvatici, rampicanti. Risulta gradevole all’occhio, è alla Cobain. Confuso ma affascinante.
« Penso che la felicità io ce l’abbia, devo solo scovarla ». Aggiunge, con la testa appoggiata alla mano magra, continuando a fissarmi dietro ciuffi di capelli biondi, a metà tra la tranquillità e la voglia di leggermi – la curiosità di scoprire se sono in grado di leggere lui. « Come i vecchi cimeli polverosi in soffitta, sai ».
Al resto delle domande risponde con poco interesse, per lui abbiamo concluso la nostra chiacchierata dopo l’argomento ’felicità’. Con frasi monosillabiche e sguardi attratti dal fumo che gli esce dalla sigaretta, Kurt Cobain mi mette alla porta. Non che sia di colpo diventato sgarbato, ciò che desiderava l’ha ottenuto, adesso cerca di ricambiare il favore – e con una certa cura, perché sono stato sincero e quindi posso essere considerato un decente essere umano – ma non gli riesce molto bene.
In uno scorrere di quesiti dei fan, dei lettori della nostra rivista – sorrisi sarcastici – finiamo il nostro tempo.
Gentilmente mi accompagna all’uscio e mi saluta con una stretta di mano, ma già da diversi minuti i suoi pensieri sono tornati a chissà quali immagini e idee, irraggiungibili per noi.
Valutazione.
1. Costruzione della trama: 09/10
2. Costruzione dei personaggi: 09/10
3. Lessico, grammatica, utilizzo della lingua italiana: 09/10
4. Difficoltà 1 (personaggi non autoreferenziali): 10/10
5. Difficoltà 2 (almeno 2 caratteristiche fisiche di un personaggio): 10/10
6. Utilizzo prompt: 0/5 (nessun prompt usato)
Totale punteggio: 47
La storia sembra semplice: un reporter va a casa Cobain, intervista il trasandato cantante dei Nirvana, prende e se ne va.
Potrebbe sembrare una storia senza molte pretese, ma dopo aver letto un paio di righe si può notare come Ory sia riuscita a descrivere Curt Kobain e le sue dinamiche domestiche in modo semplice, diretto, lasciando però “vuoti” che forse l’autrice avrebbe potuto riempire e argomenti che avrebbe potuto espandere.
Ory è comunque brava nell’immedesimarsi in un reporter attento, osservatore, che finalmente riesce ad avere un contatto diretto col proprio idolo e far parte, anche se per poco tempo, di uno spaccato di vita dell’enigmatico cantante, che qui riflette e fa riflettere su quanto il concetto di felicità sia molto relativo e personale. Una nota di merito allo stile, che m’ha ricordato sin da subito quello degli articoli dei vecchi numeri di Rolling Stone, in cui più che un botta e risposta, veniva raccontata una vera e propria storia.